LADAKH E SOCCORSI : ABBIAMO VISTO UNA REALTA’ DIVERSA DA QUELLA RACCONTATA

SAURO TURRONI , ex parlamentare Verde, in Ladakh durante l’alluvione per un progetto umanitario per un villaggio di bambini tibetani profughi, dichiara : “ma quali soccorsi dall’Ambasciata, tutti si sono dovuti arrangiare da soli e le compagnie aeree hanno preteso soldi in più per rimpatriare le persone che intendevano tornare a casa, approfittando della catastrofe come i soldati corrotti che pretendevano mazzette per far salire la gente sugli aerei a Leh”.

Turroni e i due ingegneri che erano con lui, Niccolò Saraca e Enzo Capanna, sono tornato alcuni giorni prima poichè non era più ragionevole restare, e sarebbero stati d’intralcio come tutti i turisti.

“Per 2 giorni non siamo riusciti a saper nulla del villaggio. Il Tibetan Children Village di Choglamsar, il luogo maggiormente colpito dall’evento calamitoso. Dentro al villaggio quella notte c’erano 950 bambini” – ha dichiarato Turroni.

“Nonostante i ripetuti tentativi, poiché non riuscivamo a raggiungere il villaggio, molto presto la mattina del 6 agosto abbiamo informato la Protezione Civile in Italia dell’evento verificatosi nella notte, chiedendo al Prof. DeBernardinis di guardare col satellite se il villaggio fosse stato spazzato via dal fango, cosa che ritenevamo altamente probabile.

Era impossibile utilizzare il satellite ma immediatamente la Protezione Civile ha informato dell’accaduto l’Unità di Crisi della Farnesina la quale dopo poco si è messa in contatto con noi. Fino ad allora in Italia nessuno sapeva nulla – ha proseguito Turroni .

“Abbiamo spiegato dettagliatamente la gravità dell’accaduto e il pericolo ancora incombente, stante le previsioni meteo, il riproporsi di piogge e la particolare natura dei luoghi con i villaggi tutti costruiti sugli ammassi detritici che scendono giù da monte e ci siamo messi a disposizione, poiché disponevamo di telefoni locali funzionanti, che i turisti generalmente non hanno per gli incredibili adempimenti burocratici richiesti per attivare una linea, avevamo una perfetta conoscenza dei luoghi e numerosi contatti con realtà del luogo e disponevamo di un’auto”.

Dopo l’Unità di Crisi Turroni e Saraca sono stati contattati dall’Ambasciata italiana di Delhi a cui è stata rinnovata la loro totale disponibilità a dare una mano.

Sono passati altri giorni e a parte le ripetute telefonate con cui venivano date o richieste informazioni, solo dopo il week end, al quarto giorno dall’evento, è finalmente comparso a Leh un inviato dell’Ambasciata, in elegante giacca e cravatta, l’unico fra gli inviati delle altre ambasciate e consolati a non essere dotato di pettorina di riconoscimento né di mezzi per spostarsi sul territorio, che non conosceva il luogo, privo di strumenti operativi e logistici, accolto in aeroporto e accompagnato in auto al luogo del meeting degli inviati europei da Turroni e Saraca.

Nel frattempo , in attesa degli aiuti, la situazione cominciava a chiarirsi meglio: oltre 180 morti ritrovati, moltissimi feriti, almeno ottocento dispersi, a cui devono essere aggiunti gli innumerevoli lavoratori pachistani e di altre etnie di cui non si sa nulla, impiegati nei lavori stradali più faticosi, interrotte tutte le strade , l’aeroporto ricoperto di fango, le linee telefoniche e internet saltati, (fatta eccezione per i rari airtel locali), una quantità di italiani dispersi nelle montagne di cui nessuno sapeva niente.

“Il secondo giorno dopo l’alluvione, dopo interminabili ore di apprensione eravamo finalmente riusciti a raggiungere il TCV, tutti i bimbi erano miracolosamente salvi, la colata di fango era passata distruggendo tutto a poche decine di metri, uccidendo un numero molto alto di persone, spazzando via 3 villaggi di profughi tibetani costruiti nelle immediate vicinanze – ha proseguito Turroni –

L’Ambasciata avrebbe dovuto allertare la stampa, come la situazione che le era ben nota avrebbe richiesto, anzichè lamentarsi per i primi lanci di agenzia che avevano iniziato a dare le prime notizie, per evitare che nuovi turisti arrivassero in un luogo colmo di pericoli e messo in ginocchio da un evento di proporzioni inimmaginabili.

In assenza di allarme concreto, prima che la stampa si impossessasse della vicenda, mentre già si sapeva della morte presunta del primo ragazzo italiano e di tre turisti francesi e di uno spagnolo, oltre ai numerosi ladaki e indiani, i turisti italiani, appena riaperto l’aeroporto , hanno ricominciato ad arrivare come se nulla fosse accaduto.

Molti chiedevano di essere evacuati, ritenendo il pericolo ancora imminente. Ieri gli USA hanno deciso di riportare a casa tutti i loro concittadini.

Se si è ritenuto opportuno non fare intervenire sul posto gli specialisti della Protezione civile e di non evacuare i cittadini italiani che lo chiedevano, impiegando magari uno dei C130 che stazionano a 45 minuti di volo in Afganistan, almeno l’Ambasciata avrebbe potuto mettere in campo la propria autorità per fare ottenere nuovi biglietti a coloro che dovevano imbarcarsi, senza lasciarli , come è avvenuto, in balia dei corrotti poliziotti locali che pretendevano una tangente per far salire le persone sugli aerei o in balia delle grandi compagnie aeree che cinicamente hanno applicato sovrapprezzi, da 150 euro in su, a chi cercava di scappare prima del tempo, approfittando della catastrofe.

Tutti hanno dovuto arrangiarsi da soli, facendosi fare biglietti dall’Italia, ricorrendo alle agenzie locali ecc.

“L’ambasciata italiana mena vanto per quanto asserisce di aver fatto : noi abbiamo visto un film diverso il cui prologo è stato la fornitura al soccorritore dell’ambasciata l’albergo, le medicine contro il mal di montagna, la nostra macchina con autista ecc. Questo dice tutto”.

Sauro Turroni, già deputato e senatore Verde

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