La vertenza che oggi vede coinvolta la federazione provinciale dei Verdi, ha dato, localmente, evidenza ai paradossi della c.d. “democrazia rappresentativa”. Un vero esempio. Benché qualcuno voglia attribuire alla vicenda, presa a paradigma, dignità  politica, si tratta di uno scontro sull’ amministrazione dell’esistente. Visioni, una più appiattita su posizioni di “maggioranza”, l’altra riformistica, entrambe compatibili al sistema, entrambe non lo mettono in discussione. Una prospettiva seriamente politica contemplerebbe almeno il tentativo di cambiamento dell’esistente…

La storia

L’assessore provinciale dei Verdi, nei giorni scorsi, viene accusato dal suo stesso partito, di non essere più rappresentativo degli interessi degli elettori. La causa: non aver rispettato il patto informale stipulato con i propri deleganti.
Il primo interrogativo: quando mai quel “corpo separato” che sono le istituzioni, dotate di proprie regole e propri rituali hanno l’obbligo di rispettare gli accordi?
La risposta potrebbe essere in questi termini: sempre quando è stato funzionale all’auto-perpetuazione. Quindi, l’accusa mossa è tanto pesante, all’interno dell’attuale sistema – si viene eletti per rappresentare la sovranità  popolare -, quanto viziata da una ipocrisia di fondo. Infatti non esiste nessuno strumento giuridico e di fatto che obbliga “un amministratore”, una volta eletto, ad un mandato imperativo nei confronti
dell’elettore. E’ il principio fondante della democrazia rappresentativa quella di trasferire la sovranità  popolare ad un potere delegato.
Dopo di che non vi è nessun possibile controllo.
Altra domanda: come può la volontà  essere trasferita su un rappresentante e continuare ad essere la volontà  dell’agente? Agire in nome degli eletti essendo il loro portavoce: questo sarebbe l’unico accordo di programma da rispettare; questa sarebbe l’unica situazione di simmetria nei rapporti, la possibile democrazia.
Questi strumenti non esistono, perché tutto è in funzione alla conservazione dell’esistente.
Chi accetta le regole, queste regole del gioco, ne è ben consapevole.
Perché appellarsi al rispetto, morale degli accordi, quando l’eticità  manca all’origine? Una volta nominati, attraverso la procedura elettorale, gli eletti sono detentori di un’enorme delega in bianco, che riempiono sulla base delle proprie personali convinzioni.
Così come attualmente strutturato il rapporto fra eletti ed elettori presuppone che il popolo non debba gestire potere decisionale. Infatti quando il popolo è stato libero di sperimentare, creandosi spontaneamente organismi per il controllo effettivo delle decisioni (club, comitati, consigli), che determinavano autonomamente ambiti e modi del proprio intervenire, è stato represso violentemente.
Quindi tornando alla vicenda paradigmatica descritta il problema è sicuramente di sistema e non personale. L’assessore ha agito in piena compatibilità  con il sistema.
Egli è stato e sarà  il miglior interprete della “democrazia rappresentativa”, che nessuna fazione rinnega. L’unica vera possibilità  che i Verdi di Forlì-Cesena hanno di amministrare una porzione (4%) dell’esistente.
Certo non è la rivoluzione, ma questo il sistema dove navigare e Riguzzi è un buon “comandante di fregata”.

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