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Ci voleva un premio Nobel per la letteratura (Dario Fo ,meglio specificarlo non si sa mai) perché quest’ultima assumesse importanza e dignità  di mezzoÃ?  per la promozione di sensibilità  e convinzioni ambientaliste anche a Forlì…
Ã? …Poco male se poi, come ampiamente riportato dalla stampa locale, madrina di questo sdoganamento, avvenuto grazie all’intuito e all’intraprendenza del Clan/destino, è stata anche la prof.ssa Susanna Pagano. Certo,come madrina assai poco rispondente ai cliché televisivi e dotata di una sua a volte noiosa testardaggine, ha avuto ampia soddisfazione dell’atteggiamento di sufficienza con cui lei e chi scrive o legge di natura e di poesia è sempre stato trattato all’interno della locale lista ambientalista.
E allora, convinti della sua intrinseca e non secondaria valenza anche politica, lasciamoci andare al piacere della lettura, a quel piacere del testo sempre più limitato, soprattutto in politica, alla visione di mozioni, moduli, organigrammi, petizioni, relazioni, bollette(di Hera),eccâ�Š.eccâ�Š

ITALO CALVINO� 
da Le città  invisibili, Einaudi, Torino, 1972,
pp. 119-121.
Ã?  La città  di Leonia rifà  se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano Ã? ilÃ?  carroÃ?  delloÃ?  spazzaturaio. NonÃ?  soloÃ?  tubiÃ?  diÃ?  dentifricioÃ?  schiacciati,Ã?  lampadineÃ?  fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono ilÃ?  godereÃ?  delleÃ?  coseÃ?  nuoveÃ?  eÃ?  diverse,Ã?  oÃ?  nonÃ?  piuttostoÃ?  l’espellere,Ã?  l’allontanareÃ?  daÃ?  sé,Ã?  ilÃ?  mondarsi d’una ricorrente impurità . Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.
Ã?  Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città , certo; ma ogni anno la città  s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano;l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. è una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
Ã? Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città  conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Ã? Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là  dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città , che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città  estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà  la città  nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città  limitrofe, finalmente monde:un cataclisma spianerà  la sordida catena montuosa, cancellerà  ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già  dalle città  vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare ilÃ?  suolo,Ã?  estendersiÃ?  nelÃ?  nuovoÃ?  territorio,Ã?  ingrandireÃ?  seÃ?  stesse,Ã?  allontanareÃ?  i Ã? nuoviÃ?  immondezzai.
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da � LA POUBELLE AGRà�à�E (1974-1976): pattumiera gradita, modo in cui i francesi chiamano il domestico bidone della spazzatura. (passi scelti).
Tratto da “La Strada di San Giovanni” – A. Mondadori Editore.
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âÂ?Šè per rispettare un agreement, un patto concordato per mutuo consenso delle parti, che io sto posando questo oggetto su questo marciapiedeâÂ?Šil portare fuori la poubelle va dunque interpretato contemporaneamente sotto l’aspetto di contratto e sotto quello di rito, quotidiana rappresentazione della discesa sotterranea,âÂ?Šfunerale domestico e municipale della spazzaturaâÂ?Šconfermarmi che ancora per un giorno sono stato produttore di scorie e non scoria io stessoâÂ?Š

La cattiva amministrazioneâÂ?Š è sempre negli assessorati alla Nettezza Urbana che lo scandalo esplode . E’ come se qualcosa che non quadra si rivelasse nel rapporto con la spazzatura, unÃ?  vizio di fondo della mente italiana, o meglio cattolico italiana,Ã?  forse per un errore religioso, di teologiaÃ?  morale e anche di fede , un’idea sbagliata sulla parte che tocca alla Provvidenza e la parte che tocca agli uomini, una sottovalutazione del carattere sacrale delle operazioni di asportazione dei rifiuti: il considerare la necessità  materiale non come il campo delle scelte e della prova ma come un peso che non possiamo non portarci dietro dal giorno della Caduta e di fronte al quale ogni inadempienza è solo una colpa veniale, da considerare con sguardo indulgente perché ne saremo comunque mondati al momento estremo.

âÂ?Šche il grande strumento purificatore , il viscere essenziale della città , l’inceneritore, sia profanamente visto solo in quanto occasione per le solite malversazioni sulle forniture e sugli appalti, senza restare sbigottiti dalla sua portata simbolica, senza vedere noi stessi giudicati dall’incombente ordigno, senza chiederci quanta parte di noi temiamo o desideriamo vada in cenere.
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âÂ?Š su questa poubelle, gradita a noi ma più ancora all’anonimo processo economico che moltiplica i prodotti nuovi usciti freschi di fabbrica e i residui logori da buttar via, e che ci lascia metter mano solo a questo recipiente da riempire e svuotare, io e lo spazzino.

Nel rito del buttar via vorremmo Ã? ritrovare la promessa del compimento del ciclo propria del processo agricolo, in cui – si racconta – nulla era perduto: ciò che era sepolto nella terra rinasceva.Ã?  Tutto si svolgeva nel più semplice e regolare dei modi: dopo il loro soggiorno sotterraneo, il seme, il concime, il sangue dei sacrifici tornavano alla luce col nuovo raccolto.

Ora l’industria moltiplica i beni più dell’agricoltura ma lo fa attraverso i profitti e gli investimenti: il regno plutonico da attraversare perché avvengano le metamorfosi è la caverna del denaro, il capitale, la Città  di Dite inaccessibile a me e allo spazzino, (privata o statale che sia o sarà : sotto questo aspetto ormai sappiamo che poco cambia), retta da un Supremo Consiglio d’Amministrazione non più plutonico ma iperuranio, che maneggiaÃ?  l’astrazione dei numeri da un’altezza quanto mai lontana dall’appiccicoso e fermentante crogiolo terrestre cui io e lo spazzino affidiamo le nostre offerte sacrificali di barattoli vuoti, le nostre seminagioni di cartaccia, la nostra partecipazione all’arduo disfacimento dei materiali sintetici. InutilmenteÃ?  rovesciamo la nostra oscura cornucopia , il riciclaggio dei residuati può essere solo una pratica accessoria che non modifica la sostanza del processo. Il piacere di far rinascere le cose periture (le merci) resta privilegio del dio Capitale che monetizza l’anima delle cose e nel migliore dei casi ce ne lascia in uso e consumo la spoglia mortaleâÂ?Š.

âÂ?Švuotare la poubelle è il modo per inserirmi in un’armonia, per rendermi armonico al mondo e rendere il mondo armonico a me.

La riforma. che si annuncia come più necessaria e urgenteÃ?  sarà  quella del separare i rifiuti secondo le loroÃ?  qualità  e i diversi destini, incenerimento o riciclaggio, perché almeno una parte di quanto abbiamoÃ?  strappato dai tesori del mondo non sia perduto per sempre ma ritrovi le vie del recupero e riutilizzo, l’eterno ritorno dell’effimero.

Tra i materiali che possono esaurirsi e la cui salvezza mi riguarda in modo diretto c’è la carta tenera figlia delle foreste, spazio vitale dell’uomo scrivente e leggente. Capisco ora che avrei dovuto cominciare il mio discorso distinguendo e comparando i due generi di spazzatura domestica, prodotti della cucina e della scrittura, il secchio dei rifiuti e il cesto della carta straccia. E distinguere e comparare il diverso destino di ciò che cucina e scrittura non buttano via, l’opera, quella della cucina mangiata, assimilata alla nostra persona quella della scrittura che una volta compiuta non fa più parte di me e che ancora non si può sapere se diventerà  alimento d’una lettura altrui,di un metabolismo mentale, quali trasformazioni subirà  passando attraverso altri pensieri, quanta parte trasmetterà  delle sue calorie, e se le rimetterà  in circolo, e come. Scrivere è dispossessarsi non meno che il buttar viaâÂ?Š
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